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giovedì 28 febbraio 2013
In un articolo uscito per il
settimanale Internazionale in cui viene
analizzata la funzione del M5S nella politica italiana, il collettivo letterario
Wu Ming sostiene che “ora che il
grillismo entra in parlamento, votato come extrema ratio da milioni di persone
che giustamente hanno trovato disgustose o comunque irricevibili le altre
offerte politiche, termina una fase e ne comincia un’altra. L’unico modo per
saper leggere la fase che inizia, è comprendere quale sia stato il ruolo di
Grillo e Casaleggio nella fase che termina. Per molti, si sono comportati da
incendiari. Per noi, hanno avuto la funzione di pompieri ”.
Il nocciolo
della questione secondo Wu Ming è quindi comprendere se l’avvento del M5S abbia
sottratto l’Italia da tipologie di conflitto radicale come quelle verificatesi
in Grecia o Spagna; con l’effetto conseguente di convogliare la protesta dei
cittadini entro i confini della dialettica democratica e della competizione
elettorale. Per valutare se il M5S sarà o meno un fattore di stabilità
sistemica dovremo attendere l’evolversi del magmatico quadro politico.
La sola realtà
oggettiva inequivocabile resta una: va rispettato l’esito delle urne. Anche dal
punto di vista culturale e non solo procedurale. Per tanto un parere su quello
che accadrà potrà essere definito solo quando vedremo all’opera i nuovi eletti.
Di tutti gli schieramenti. Durante la campagna elettorale interessanti spunti
di riflessione sono pervenuti dalla stampa estera.
Il premio Nobel dell’Economia
Paul Krugman, sull’International Herald
Tribune del 27 febbraio 2013, scrisse che il suffragio in Italia avrebbe
avuto il carattere di un referendum sulle politiche di austerità dettate
dall’Europa e personificate dall’osmotico duetto Merkel-Monti. Il giornalista
economico per l'Europa del Financial
Times Wolfgang Munchau, è stato invece un forte critico delle ricette
economiche del Montismo. La sua analisi
si basa essenzialmente sulla constatazione che il governo Monti è stato, ancora
una volta, uno dei governi europei che ha sottovalutato le conseguenze negative
dell'austerità: probabilità di una durevole e profonda recessione, la
disoccupazione in aumento, produzione decrescente e fiducia delle imprese ai
minimi.
Un’alternativa a questo scenario poteva essere rintracciata nella tesi
di un aggiustamento strutturale del quadro macroeconomico europeo condiviso tra
paesi debitori e paesi creditori. Ma chi, durante la campagna elettorale, si è
fatto portatore di questa linea in modo chiaro e credibile?
Ingroia ci ha
sicuramente provato, ma con scarsi risultati dovuti forse alla sua eccessiva insistenza
su tematiche legate alla giustizia e alla corruzione. Berlusconi ha adoperato
la carta del populismo antieuropeista denotando la Germania come la fonte di
ogni male, ma pochi gli hanno creduto: sono ormai lontani i tempi del “sono uno di voi” di vicentina memoria
imprenditoriale. Bersani, dal canto suo, non ha saputo concretizzare dal punto
di vista della comunicazione politica una volontà brillante nel sostenere un’alternativa,
anche radicale, all’austerità, ovvero all’egemonia culturale del Montismo. In tal senso, la sola presenza
di Vendola e Fassina non è servita a convincere l’elettorato “last minute”, il quale è poi risultato
decisivo nei flussi di voto.
Il politologo Ilvo Diamanti misura in un rapporto
di un elettore su dieci la consistenza di questa tipologia di – decisivi – incerti,
i quali hanno scelto per chi votare solamente l’ultimo giorno; optando quasi
sicuramente per il M5S e la sua radicale capacità di impersonare il vento del
cambiamento. Per ora i mercati hanno reagito male. Il voto, ma ancor di più la
realtà della vita quotidiana delle persone, ci conferma che il rigore
tecnocratico prescritto ai paesi mediterranei dell’area euro non è più sostenibile.
I cittadini hanno indicato il M5S come il messaggero delle istanze di questo
disagio tangibile. In questo quadro bisognerà trovare l’equilibrio tra
stabilità interna e governance
europea. E non è facile. In gioco c’è la moneta unica e il futuro dell’Europa
politica. La Sardegna tra un anno sarà chiamata alle urne per decidere il più
importante governo della storia dell’Autonomia.
Da quanto appena accaduto bisognerà
ripartire per costruire un governo stabile che abbia chiaro un obiettivo,
ovvero che la Sardegna, per uscire dalla crisi, necessita di poteri di sovranità,
di una nuova soggettività internazionale e di partiti con testa, gambe e cuore
nell’Isola.
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