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venerdì 22 giugno 2012

Il politologo Parag Khanna nel suo libro “I tre Imperi. Nuovi equilibri globali nel XXI secolo” uscito nel 2009 sosteneva che ‹‹la combinazione fra ricchezza petrolifera, mass media e condivisione dei medesimi risentimenti, insieme alla consapevolezza dell’arbitrarietà delle frontiere imposte dagli europei, sta trasformando il panorama politico arabo all’insegna di un’opinione pubblica notevolmente coerente che si oppone alla politica estera americana e contesta la legittimità dei propri leader non elettivi. La giovane generazione araba fa circolare queste inclinazioni con programmi di scambio per gli studenti, riunioni e associazioni, e con la blogsfera››.

Queste sue considerazioni forniscono una prima chiave di lettura per capire cosa stia accadendo nel mondo arabo. Larry Diamond, fondatore del Journal of Democracy, in un suo articolo dal titolo “Perché non esistono democrazie arabe?” afferma che ciò che regge l’autoritarismo arabo è la rendita petrolifera in quanto essa consente di far funzionare lo stato, costruire le opere pubbliche e fornire servizi ai cittadini, senza chiedere di pagare loro tributi e quindi senza attivare la dialettica che è essenziale per far nascere e vivere una democrazia.

Per Diamond l’assenza di democrazia non sarebbe da imputare all’Islam, di fatto nel mondo esistono paesi musulmani in cui essa è presente come la Turchia e la  Malesia, ma a quella commistione tra burocrazia, concentrazione di risorse e corruzione che tiene lontano il cittadino dall’avere la forza di poter competere nella scena politica attraverso la formazione di opposizioni. La tesi di Diamond ha il merito di sfatare il mito dell’impossibilità esistenziale tra democrazia e Islam, focalizzando il tema sul versante materiale della ricchezza petrolifera, ma non tutti i regimi arabi posseggono ingenti risorse petrolifere, ne è vera la tesi che petrolio e autoritarismo possono essere meccanicamente due facce della stessa medaglia. La Norvegia, la cui economia dipende molto dall’esportazione di petrolio, è una solida democrazia.

Quello che sta accadendo oggi nel mondo arabo è originato da diverse variabili che sia Khanna che Diamond colgono: diseguaglianze nella distribuzione delle risorse, crescita di un’opinione pubblica formatasi grazie ai social network e l’assenza di opportunità di lavoro per i giovani. La combinazione di questi fattori ha portato alla luce la forza di quei movimenti popolari che hanno sconvolto gli equilibri nel mondo arabo. La richiesta di democrazia e sviluppo guida il senso della primavera araba. Il rapporto tra democrazia, petrolio e Islam offre quindi diversi spunti di analisi su questioni dirimenti per la politica internazionale e per la geosfera mediterranea.

Fareed Zakaria, giornalista e politologo indiano, sostiene che non sempre la democrazia porti con se il seme della libertà. Libere elezioni possono portare al governo culture politiche lontane da qualsiasi principio di convivenza civile. Non è questo forse il rischio che si ta correndo in Egitto, Libia, Tunisia e chi lo sta forse un domani in Siria? Ovvero instaurare dei processi democratici non seguiti da una struttura costituzionale che metta al centro i diritti politici, civili e sociali dei cittadini, e che non sia capace di garantire un sistema giudiziario funzionante e libero dalla corruzione.

In Libia stiamo assistendo ad un processo di somalizzazione o meglio balcanizzazione della transizione dalla dittatura di Gheddafi verso una nuovo assetto politico di cui in Occidente, dopo aver bombardato Tripoli ed affini, non si parla più. La Siria è ormai immersa in una guerra civile che ha già provocato migliaia di morti. Fino ad ora ogni exit strategy è stata fallimentare in quanto Damasco è una pedina altamente strategica nel complesso quadro mediorientale. Le monarchie del Golfo, Iran, USA, Russia e Cina sono tutti seduti ad un tavolo su cui si stanno ridefinendo gli equilibri della regione e soprattuto i rapporti tra Israele e i suoi vicini.

Un Mediterraneo libero da dittature è oggi uno scenario possibile da poter realizzare. Le incertezze su come raggiungere un tale risultato sono molte e gli interessi geoeconomici in gioco sono altissimi. In Egitto, l'esito della lotta intestina tra generali e islamisti, segnerà il futuro di tutto il mondo arabo per molto tempo. Sarà democrazia senza libertà oppure le prime elezioni democratiche nel paese dei faraoni segnano un'irreversibile tendenza verso la costruzione di un sistema democratico compiuto?  

L'Economist nella sua ultima copertina titola: "Egypt in peril". Il settimanale britannico si è schierato con i militari sostenendo la realizzazione di un modello turco per l'Egitto. La Primavera Araba avrà quindi delle grandi conseguenze sul futuro delle relazioni internazionali e della diffusione dei diritti umani nel mondo. Speriamo che dopo la primavera non arrivi subito l'inverno, perchè a guardare lo scenario che si prospetta inizia a fare freddo. Da Tripoli a Damasco passando dal Cairo.


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