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domenica 30 agosto 2015
In Gaelico è Béal Feirste, ma il suo nome anglicizzato è Belfast. Capitale dell'Irlanda del Nord, ovvero un lembo d'Europa in cui un secolare conflitto coloniale ancora non ha irrevocabilmente trovato una soluzione finale. Come possiamo definire questa parte dell'isola d'Irlanda? Ulster o Eire? Ponendomi continuamente questo quesito ho attraversato Falls Road e Shankill Road, tentando di comprendere come sia possibile convivere dentro contraddizioni storiche così forti in pochi metri quadrati. Le appartenenze comunitarie di questa città sono circoscritte dentro le linee di demarcazione identitarie tra le più pericolose dell'esistenza umana: nazione e religione.
Belfast ti ingarbuglia per mezzo delle sue bizzose e insanguinate traiettorie toponomastiche. Oltrepassasi un semplice incrocio stradale e il concetto interpretativo di quello che hai intorno muta nelle sue radici più profonde. Dal tricolore della Repubblica di Irlanda sventolante ad ogni palo della luce si (tra)passa ad un eguale insistente sventolio, ma della Union Jack. Tutto in pochi attimi. Millesimali istanti che condensano una coesistenza che appare complicata già nella sua rappresentazione estetica, la quale coagula rapidamente nella demarcazione nazionalista e religiosa dei quartieri in cui (co)abitano le due comunità: unionista e repubblicana.
La baraonda toponomastica trova spazio anche, e soprattutto, nell'identificazione geografica dell'Ulster come sinonimo significativo dell'Irlanda del Nord. Infatti al suo interno, storicamente, sono comprese nove contee. Quelle sotto la sovranità del Regno Unito sono sei, quelle amministrate dalla Repubblica d'Irlanda tre. Confusione. Dove mi trovo? Sono un suddito della Regina o un cittadino della Repubblica? Tutto ciò dipende dal quartiere o dalla contea?
Belfast incontra il mare con il fiume Lagan in maniera silenziosa e timida. Le sue strade sembrano vuote anche quando la gente si riversa su di esse. Una città sospesa che ti guarda costantemente dallo spioncino. Si disvela al mondo tramite i murales o con le lapidi commemorative delle vittime dei Trouble. Sono ricordi vivi i fiori freschi che ricordano i morti protestanti a Shankill Road. Non è il passato. E' l'oggi. O peggio, il passato che ritorna ogni volta che ci si passa davanti.
Il malinconico fascino di Belfast non conosce confini metafisici: è intimista non materiale. I suoi costanti silenzi sibillini sono come lame che tagliano l'animo di chi cammina per le strade di questa città un tempo ricchissima. Una capitale globale dell'industria che ha saputo costruire una delle opere ingegneristiche più grandi della storia: il Titanic. Il suo naufragio segnò la fine di un'epoca in cui l'Homo Faber si credeva invincibile.
Belfast. Una città in cui i muri raccontano e vivono in simbiosi con i suoi abitanti. Muri organici. Violenti. Ma anche pieni di speranza.
Non li dimentichi più. Sono essi infine il tempio della coscienza in cui cercare le risposte del perché l'Irlanda non sia unita? Non lo so. Un murales non regala facili risposte. Narra. Ed essi sono la narrazione di questo luogo. Bisogna osservarli in silenzio. Ad ognuno poi spetta l'intima presa di coscienza nel dirimere il groviglio sentimentale che Belfast genera nelle persone che la visitano. E che imparano a capirne la sofferenza nascosta.
Belfast ti ingarbuglia per mezzo delle sue bizzose e insanguinate traiettorie toponomastiche. Oltrepassasi un semplice incrocio stradale e il concetto interpretativo di quello che hai intorno muta nelle sue radici più profonde. Dal tricolore della Repubblica di Irlanda sventolante ad ogni palo della luce si (tra)passa ad un eguale insistente sventolio, ma della Union Jack. Tutto in pochi attimi. Millesimali istanti che condensano una coesistenza che appare complicata già nella sua rappresentazione estetica, la quale coagula rapidamente nella demarcazione nazionalista e religiosa dei quartieri in cui (co)abitano le due comunità: unionista e repubblicana.
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Belfast incontra il mare con il fiume Lagan in maniera silenziosa e timida. Le sue strade sembrano vuote anche quando la gente si riversa su di esse. Una città sospesa che ti guarda costantemente dallo spioncino. Si disvela al mondo tramite i murales o con le lapidi commemorative delle vittime dei Trouble. Sono ricordi vivi i fiori freschi che ricordano i morti protestanti a Shankill Road. Non è il passato. E' l'oggi. O peggio, il passato che ritorna ogni volta che ci si passa davanti.
Il malinconico fascino di Belfast non conosce confini metafisici: è intimista non materiale. I suoi costanti silenzi sibillini sono come lame che tagliano l'animo di chi cammina per le strade di questa città un tempo ricchissima. Una capitale globale dell'industria che ha saputo costruire una delle opere ingegneristiche più grandi della storia: il Titanic. Il suo naufragio segnò la fine di un'epoca in cui l'Homo Faber si credeva invincibile.
Belfast. Una città in cui i muri raccontano e vivono in simbiosi con i suoi abitanti. Muri organici. Violenti. Ma anche pieni di speranza.
Non li dimentichi più. Sono essi infine il tempio della coscienza in cui cercare le risposte del perché l'Irlanda non sia unita? Non lo so. Un murales non regala facili risposte. Narra. Ed essi sono la narrazione di questo luogo. Bisogna osservarli in silenzio. Ad ognuno poi spetta l'intima presa di coscienza nel dirimere il groviglio sentimentale che Belfast genera nelle persone che la visitano. E che imparano a capirne la sofferenza nascosta.
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