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lunedì 4 giugno 2012
Su Wikipedia per riformismo si intende un “metodo d'azione politica che, ripudiando sia la rivoluzione sia la mera conservazione dell'esistente, tende a modificare gradualmente l'ordinamento politico e sociale tramite riforme”.
Tale prassi politica per operare deve sussistere dentro un sistema
democratico in cui partiti, movimenti, categorie sociali e cittadini
portano avanti i loro interessi mediante diversi livelli di
rappresentanza e in un contesto condiviso di regole. Oggi in Sardegna
dove si collocano i riformisti? A destra oppure a sinistra? Quali sono i
loro obiettivi?
Proveremo a dare risposta a
questi interrogativi partendo da una semplice constatazione, ovvero se
il sistema politico abbia bisogno in Sardegna di un moto riformista
capace di cambiare l’orientamento teleologico dei partiti. Oggi più che
mai è necessario capire se la loro prassi politica è fondata sui reali
interessi dell’Isola, intesa come luogo centrale della rappresentanza
politica, o se il loro orizzonte di senso rimane rinchiuso dentro gli
equilibri politici d’oltremare.
Avere chiaro
questo passaggio è fondamentale per comprendere in che modo la politica
intende dare risposte alla crisi strutturale che attraversa la
Sardegna. In questo senso si possono elencare due scenari:
- Conservativo: la Sardegna conserva il suo status quo costitutivo codificato nell’Autonomia, intesa come un sistema politico, economico e sociale dal cui paradigma cognitivo bisogna dedurre un progetto di governance in linea con gli equilibri partitici esistenti;
- Riformista: la Sardegna muta in modo graduale, democratico e non-violento il suo ordinamento giuridico, acquisendo maggiori quote di sovranità in materia di fiscalità, trasporti ed energia tramite una proposta di governance sovranista, partecipata e deliberativa che superi il concetto di Autonomia.
Entrambi
gli scenari sono legittimi e la fonte della loro praticabilità può
derivare soltanto da libere elezioni. Il primo rappresenta la realtà in
cui oggi si disloca la politica isolana, mentre il secondo scenario lo
potremmo definire con il termine riformismo sovranista e tende appunto a “modificare gradualmente l'ordinamento politico e sociale tramite riforme”.
E’ evidente come l’azione riformista in Sardegna sia oggi
rappresentabile solo dall’area indipendentista e sovranista, intorno
alla quale sarebbe auspicabile ideare un progetto di governo per la
Sardegna.
Lo scacchiere internazionale è
molto complesso e in continua trasformazione: per questa ragione non è
possibile traghettare l’Isola fuori dalla crisi senza che essa si doti
degli strumenti essenziali per mediare tra i processi di globalizzazione
e i diritti dei cittadini sardi. Sovranità vorrebbe dire iniziare ad
acquisire questi strumenti, sintetizzandoli in un’istituzione
costituzionalmente nuova con cui rappresentare la Sardegna anche dentro
organismi sovranazionali come l’Unione Europea. L’orizzonte a cui
guardare è costituito dal trinomio Sardegna-Europa-Mondo.
La
difficile relazione tra democrazia e finanza ha mandato in crisi il
concetto di cittadinanza e di conseguenza anche quello della
rappresentanza. Dani Rodnik, professore di Economia Internazionale ad
Harvard, in un suo recente articolo ha scritto:
…la democrazia e la determinazione nazionale devono prevalere sull´iperglobalizzazione. Le democrazie hanno il diritto di proteggere i loro sistemi sociali, e quando questo diritto entra in conflitto con le esigenze dell´economia globale, è quest´ultima che deve cedere. Restituire potere alle democrazie nazionali garantirebbe basi più solide per l´economia mondiale, e qui sta il paradosso estremo della globalizzazione. Uno strato sottile di regole internazionali, che lascino ampio spazio di manovra ai Governi nazionali, è una globalizzazione migliore, un sistema che può risolvere i mali della globalizzazione senza intaccarne i grandi benefici economici. Non ci serve una globalizzazione estrema, ci serve una globalizzazione intelligente.
I
mercati per funzionare bene hanno bisogno di istituzioni pubbliche. Per
i cittadini sardi è di vitale importanza avere come punto di
riferimento un’istituzione che faccia da ponte verso la globalizzazione e
che sia nello stesso tempo capace di ricomporre gli interessi della
Sardegna intesa come un’Isola aperta, plurale e democratica.
Questo
dovrebbe essere l’obiettivo per chi si candida a governare l’Isola nei
prossimi anni. Il riformismo sovranista, formalizzato come una cultura
politica sarda, democratica ed europeista, potrebbe essere la chiave di
volta con cui immaginare un futuro diverso per la Sardegna. Dalla
sovranità alla Repubblica: senza lasciare indietro nessuno. I sardi
meritano di essere governati da una classe politica che sia realmente
espressione dei loro interessi.
L’Autonomia
in questo ha fallito. Ora è tempo di guardare avanti e costruire un
progetto politico riformista in cui la sovranità sia l’architrave su cui
edificare una Sardegna capace di navigare senza paura nel mare aperto
della globalizzazione. Per parafrasare Rodnik: “non ci serve una Sardegna autonoma ma una Sardegna intelligente”.
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