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martedì 28 agosto 2012
- Versione in italiano
I minatori del Sulcis hanno il diritto e il dovere di proteggere
in tutti i modi il loro posto di lavoro. Su questo non ci piove. In ogni caso, suddetto
drammatico contesto impone a tutti noi una riflessione più ampia e profonda che valica i confini geografici della vicenda.
In questo momento il Sulcis può essere definito come parte integrante di una
frontiera globale frammentata, ma che si ricompone drammaticamente nella messa in scena del conflitto tra diritti di
cittadinanza e funzionamento dell'economia globale.
Questo duello, oltre a provocare la
polverizzazione dei diritti dei lavoratori e dei sistemi di welfare, ha predisposto
il logoramento funzionale della ragion d'essere della politica. In che modo? Spostando
il momento decisionale lontano dalle istituzioni rappresentative
democraticamente elette. Siano esse i parlamenti nazionali o i consigli
comunali. Il potere sovrano di indirizzo politico (definibile come esecutivo) è traslato sia verso centri decisionali sovrannazionali dalla dubbia genesi
democratica, sia verso le reti planetarie dell'economia finanziaria come le
agenzie di rating.
Per questo, nel caso degli operai del Sulcis, è indispensabile
porsi almeno due interrogativi. Quale sarebbe l'istituzione che dovrebbe agire
come loro punto di riferimento in questo momento così delicato?
Forse una RAS priva di ogni potere utile ad influenzare e governare una tale
problematica? Oggi come oggi la globalizzazione è innanzitutto composta dalle
seguenti funzioni: ristrutturazioni delle risorse umane, riallocamenti delle
centrali produttive, capitale finanziario mobile. Tutto su scala globale.
Gli
individui sono in balia di questi poteri distanti e tecnici, che sempre più
determinano l'evolversi delle loro vite lavorative e non solo. La questione
Sulcis è intinta di questo scenario. Per questo la lotta dei minatori impone
due ulteriori considerazioni: 1) possono le bonifiche essere una via d'uscita
verso la creazione di un nuovo modello di sviluppo vicino al territorio e
alternativo, almeno in parte, a quello basato sull'industria pesante? 2) In che
modo le istituzioni sarde vogliono rapportarsi con l'economia globale e con
quali poteri? Nessuno possiede la bacchetta magica per trovare le giuste
soluzioni.
Tuttavia di due cose possiamo essere ragionevolmente certi: a) sotto
le miniere del Sulcis sono state seppellite le culture politiche prodotte
dall'Autonomia; b) la lotta dei minatori non riguarda solo loro ma in massima
parte il destino sociale, economico e politico del popolo sardo, ovvero chi
deciderà e dove del nostro futuro.
- English version
- English version
The miners
of Sardinia Sulcis region have the right and the duty to defend, in every single way,
their employ. This is not at issue. However, the above dramatic context impose
us a careful consideration that goes beyond the geographical boundaries of this
affair. At this time Sulcis region could be defined as integral part of a
global fragmented frontier, which put dramatically up what we can explain as the
clash between the rights of citizenship and the functioning of the global
economy.
This duel,
as well as brought about already the reduction in dust of workers' rights and
welfare state, has entailed the functional wearing down of politics raison
d'être: orientating the decision-making. How? Moving it away from the
democratic representative institutions. Does not matters if we are talking
about national parliaments rather than borough councils. The sovereign power (defined as executive) has moved away: on one hand
to undemocratic international organizations, on the other hand to global
financial clusters like the rating agencies.
For this
reason, in the case of Sulcis workers, it is fundamental to raise two questions
. What kind of institution should be their reference point during this nick of time? Perhaps, the Autonomous
Region of Sardinia, which is lacking of any useful tool in order to affect and
manage this problematic? Nowadays, globalization is primarily composed of the
following functions: relocation of human resources, throughput displacement,
financial capital movement. Everything globally based on.
Individuals
are at the mercy of these distant and technical forces, which increasingly
determine the evolution of their working lifes and beyond. The Sulcis issue is
dipped into this scenario. This is the reason why the miners struggle implicates
two additional considerations: 1) could reclamation constitute the beginning of
a new model of development more close to the local natural resources and alternative, in part, to one based on
heavy industry? 2) How Sardinian institutions want to deal with global economy and,
most importantly, by what means? Nobody has a magic wand to find the best
solution.
However, we
can be reasonably certain about the two following observations: a) in the mines
of Sulcis were buried also the political cultures inherited from Autonomy
political system, b) the coal miner fight
is not just related to them, but soundly concerns the social, economic and
political destiny of Sardinian people, or rather who is going to decide on our
future and in which place the decisions are going to be taken.
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