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lunedì 3 dicembre 2012
Disporre i pensieri in
fila è assolutamente impossibile. Il mio cervello non possiede i parametri per
decodificare la marea umana che mi gira intorno. Ho caldo. Riflettere diviene una
ripetizione debilitante dopo aver provato delle percezioni che hanno convertito
il mio essere in un antropico discorde.
Il tema di questa breve narrazione è:
"capire Nairobi". Una metropoli africana di 4 milioni di abitanti. Ci
sono sopraggiunto dopo un massacrante viaggio in pullman trasversalmente al
Masai Mara. Pertanto appaio qui, per scarabocchiare di Kibera. Una delle più
grandi baraccopoli del pianeta. Sarebbe meglio chiamarla Slum. Aver vissuto,
anche se per poco, la quotidianità di tale sito non so tuttora che prezzo da
pagare comporterà per il resto nella mia esistenza.
Qualsivoglia parametro
valutativo balza lontano dalle mie capacità elaborative. Sono scaraventato
dentro un flipper di cui non padroneggio le regole del gioco. Sussisto alla
maniera di una pallina ammattita che non trova riparo in nessuna sponda. Non
riesco più a comprendere se la mia vita sia giusta o errata. Che cosa mi ha
spinto qui? In questo girone infernale disgiunto interi sistemi solari da tutto
quello che consideravo fosse il male. La dorsale estetica che le mie retine
hanno cristallizzato internamente alla mia persona, è un vagare stipato di interrogativi
senza responso.
Perché? Può la vita essere così disumana? Tollerando senza
appello una materialità tanto malsana a un bambino che gioca sull’uscio di casa,
mentre una parte di umanità vive nella più completa inconsapevolezza di simili oggettività.
Avrà senso agguantare un aereo per Dubai questa sera? Illudendosi del luccichio
morboso del petrolio di Allah? Domande come un fiume incastrato in una diga.
Non scorgono apertura mentre sbottano nel ventre molle della mia esistenza.
La
vita in uno slum. Odori, colori, suoni e visioni di cui porterai sempre dentro
la composizione, come se qualcosa avesse la forza di sostituire le tue membra.
Mentre cammino, solo una distesa infinita di case in lamiera e rifiuti. Decine
di migliaia di essere umani conducono la loro esistenza in queste stanze buie
dell’umanità. Stipati come sardine in un ambiente in cui le colline sono discariche
dove trovare cibo. Non trova tregua la mia mente in queste ore pomeridiane.
Il
mio cuore veleggia lontano da me. Il mio centro antropologico è disperso. Sono
in fuga da me stesso mentre bambini
spuntano ovunque. La terra rossa d'Africa qui è un labirinto senza uscita. Non
so se tornerò più indietro da questo sentiero misterioso che il destino mi ha
fatto intraprendere. L'anima è compromessa. Palpare uno slum vuol dire aprire
uno squarcio immenso nel degrado urbano. Tutti i miei sensi si ribellano a
questa estetica infernale.
In questo sconquasso sensoriale parto sbaragliato,
perché dimentico costantemente che l’illuso di questo scampolo di arco vitale
sono proprio io. Mentre intorno a me si alligna e pulsa la tangibilità della
vita, che presumibilmente non avevo mai sperimentato con siffatta irruenta
pienezza.
Proprio oggi mi si è mostrata attraverso il suo aspetto più feroce.
Nessuno può ottenere risposte a tutto ciò. Moschee e chiese mi ricordano che
Dio esiste. Forse. Intorno a me non lo ravviso, e può darsi che non ho neanche bisogno
di cercarlo. In questo pomeriggio africano. Indosso un conto aperto con
Nairobi. I suoi grattacieli. I suoi parchi. I suoi slum. La sua gente. Cammino
e sprofondo nello stesso palpito di terra. Tutti mi sorridono. Sembra che ogni realtà
oggettiva di questa capitale scorra usuale. Forse sono proprio io l'elemento
stonante.
Il tassello errato di un mondo che non padroneggio. Sono un bianco
che vagabonda tra le strade di Nairobi. Ho 23 anni e per un pomeriggio ho
pensato di non essere mai venuto al mondo. Un sorriso di un bimbo mi dona un
lampo di vita. "Capire Nairobi". Non sarà per questa volta. Probabilmente
non lo sarà mai.
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