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mercoledì 23 gennaio 2013
La corsa alla compilazione delle
liste per le elezioni politiche italiane si è finalmente conclusa. I colpi di
scena non sono certo mancati. Cosentino docet.
Finanche in Sardegna siamo stati testimoni di continui ribaltamenti, prove di
forza a braccio di ferro e speranze disattese. Lunedì 21 gennaio Anthony Muroni
ha scritto un intrigante editoriale sull’Unione Sarda. Esaminando le modalità con
cui si è arrivati alla composizione delle liste nei maggiori partiti isolani,
il giornalista ha posto la seguente domanda: “la delegazione dei nuovi parlamentari sardi potrà rappresentare con
efficacia gli interessi dell'Isola, pur nascendo già parzialmente delegittimata
da queste strane modalità di arruolamento?”.
Sicuramente il Porcellum non prevede l’opportunità per
i territori di poter esprimere in maniera diretta da chi farsi rappresentare.
Su questo punto siamo tutti d’accordo. Inoltre, risulta manifesta la differenza
tra chi ha giustamente adoperato le primarie come metodologia per designare i candidati e
chi invece no. Tenendo conto di questi non trascurabili aspetti, tuttavia il
risultato complessivo non sembra essere molto dissimile. Perlomeno nella sostanza.
Infatti, se passiamo dall’analisi politologica del sistema elettorale a quella
relativa al peso politico della classe dirigente sarda nei confronti dei
rispettivi centri di potere, risulta evidente lo sbilanciamento – storico – in favore
di quest’ultimi.
Osservando il risultato conclusivo della formazione delle
liste, sembra che la capacità di negoziazione della Sardegna orientata a far
valere le proprie istanze sia molto contenuta. A volte si ha come l’impressione
che l’Isola venga percepita come un elemento sacrificabile rispetto al ben più considerevole
destino che le segreterie romane ratificano per essa. La Sardegna dalle due
facce. La prima rappresentabile come un brand politico adeguato a raccogliere
consenso quando si è circondati dal mare; la seconda codificata nella sua
marginalità quando il mare è ormai alle spalle.
A prescindere dalla critiche
mosse nell’articolo di Muroni dobbiamo in ogni modo interrogarci su di un
punto, ossia in che modo l’Isola possa distaccarsi dalla crisi nel momento in
cui decisioni importanti per il suo futuro vengono prese laddove la sua
rappresentanza è limitata in partenza o subordinata ad altri interessi. Attenzione
alla retorica dei posti di rappresentanza nel governo da disporre nel post
elezioni. Forse che due presidenti della Repubblica sardi abbiano comportato
benefici reali alla Sardegna? Allora un’ulteriore interrogativo viene quasi
naturale: il popolo sardo è il soggetto ultimo e di senso dell’agire politico
dei partiti isolani o no? La domanda assume un rilievo importante in una fase
in cui la Sardegna sta attraversando la più acuta crisi dell’Autonomia. Le
risposte sarebbero multiple.
Una soluzione potrebbe essere quella di iniziare a
considerare la Sardegna come il fine ultimo del proprio agire. Il centro della
propria esistenza politica. Come accade per la maggioranza dei partiti in
Catalunya, Scozia e Paesi Baschi (della cui indipendenza Cossiga era un grande sostenitore!).
Tra poco più di un mese sapremo chi farà di questo centro la sua casa e chi
invece no.
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