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giovedì 3 gennaio 2013
«In Italia la crisi generale si è tradotta in crisi di aziende medie e
grandi, e talvolta, dell'economia di un'intera regione, come ho constatato da
vicino in Sardegna». Queste sono le tragiche parole pronunciate da Giorgio
Napolitano nel suo discorso di fine anno, il quale sarà anche l'ultimo del suo settennato.
Tale espressione è suonata quasi come una resa di fronte al quadro angoscioso
in cui è immersa l’Isola. L'ammissione implicita di un tracollo sistemico dalle
profonde e ramificate radici storiche, messaggero di tanti responsabili ma di
nessun colpevole. Qualcheduno addita il governatore Cappellacci come l'unico “peccatore”
della slavina sarda. Il suo è senza dubbio uno dei peggiori governi della
storia dell'Autonomia, ma sarebbe velleitario far scivolare tutte le colpe del
disastro sulle spalle dell'attuale maggioranza in Regione.
Come se i dolorosi provvedimenti
approvati dal governo Monti, e che hanno agito come una mannaia sull'economia
sarda, fossero stati suffragati solo dai partiti del centrodestra. L’insieme
economico della Sardegna è in ginocchio a causa della congiuntura economica, ma
anche per problematiche strutturali mai risolte; e che oggi sono al centro
della "moderna" trasposizione della questione sarda. Fiscalità, trasporti
ed energia sono tutti compartimenti normativi su cui l'Isola non esercita nessun
potere ultimo, ossia non esprime sovranità. Se a questi andamenti aggreghiamo l'impalpabilità
del peso politico della Sardegna internamente agli equilibri politici italiani,
ecco che cominciamo a distinguere differenti radici del processo di
impoverimento a cui stiamo assistendo.
In questo scenario, come può un'Isola potenziare
in qualità e quantità la propria economia in assenza di un reale autogoverno
che le consenta di operare scelte decisive per il proprio futuro? Dal Ministero
del Welfare filtrano notizie secondo cui gli oltre 20 mila cassintegrati dell’Isola
rischiano ora di restare senza le risorse per gli ammortizzatori sociali: proprio
nella regione citata da Napolitano per via della sua crisi sistemica. Regione
alla quale verranno a mancare due parlamentari per via del calcolo demografico
che vede l'Isola decrescere nella popolazione.
L'Autonomia non è stata usata
come lo strumento di governo dei sardi per i sardi, ma come un ente
amministrativo da cui succhiare risorse per mantenere posizioni di potere. Tutti
noi abbiamo negli occhi le immagini degli operai sardi protagonisti di
eclatanti proteste atte a salvare il proprio posto di lavoro. Per tutto il 2012 le loro lotte
sono state parte integrante della quotidianità del sistema informativo isolano e non solo. Come se
fossimo stati scaraventati nel secolo passato, in cui il conflitto capitale-lavoro
coagulava la sua essenza nella figura dell’operaio massa. Contrariamente siamo
nell’era del lavoro immateriale. Dei brain
workers: ma ad andare in frantumi è stata la vita materiale di migliaia di
nuclei familiari.
Circolarmente alla mancanza di lavoro, alla erosione dei
diritti nazionali del popolo sardo e alla mancata visione di una Sardegna 3.0
stanno collassando le aspettative di migliaia di giovani. Nessuno salverà la
Sardegna se non saranno i sardi stessi a farlo. La Sardegna ha estremo bisogno
di un potere istituzionale che ne difenda i diritti in Europa e nel mare dischiuso
della globalizzazione; e che nello stesso tempo indirizzi in maniera diretta le
decisioni in materia economica componendo le scelte fatte con i poteri esterni.
Questo potere non è più codificabile
nella struttura normativa e politica dell’Autonomia. Bisogna andare oltre e
costruire una Sardegna sovrana da cui discenda un tangibile autogoverno che avvicini l'Isola a realtà quali la Scozia e la Catalunya. Questo
dovrebbe costituire il quadro di unità politica da cui ripartire per immaginare
un futuro credibile per i cittadini sardi. Resta da comprendere se la classe politica isolana, o
quanto meno la parte più illuminata di essa, sia disponibile ad assumere questo
come obiettivo primario del proprio comportamento. Oppure se l’aereo per Roma, per cui da sempre ci si divide, rimarrà ancora il premio più ambito. Anche se con
due posti in meno.
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