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mercoledì 21 novembre 2012
Ti hanno uccisa e sepolta nei titoli dei loro giornali, madre. Come posso perdonare, madre? Come può Jenin perdonare? Come si può portare questo fardello? Come si può vivere in un mondo che volta le spalle a questa ingiustizia da così tanto tempo? E' questo che significa essere palestinesi, madre?
Ogni mattina a Jenin di Susan Abulhawa
Le notizie che in questi giorni giungono dalla Striscia di
Gaza stanno sconvolgendo l'opinione pubblica mondiale. Al Jazeera trasmette ininterrottamente
le immagini della strage che ha visto coinvolta la famiglia al-Dalou, spazzata via da un raid aereo
in cui hanno perso la vita cinque donne, quattro bambini di pochi anni e tre
uomini.
Tutte vittime innocenti dell’attacco aereo-navale che Israele ha scagliato
contro i miliziani di Hamas, con l’obiettivo di interrompere il lancio di missili verso
città e villaggi israeliani. Gli al-Dalou sono diventati l’emblema di quello
che sta avvenendo, per l’ennesima volta, nella Striscia di Gaza; dove a pagare il prezzo più alto di questo decennale conflitto sono quasi sempre innocenti e bambini
palestinesi.
In queste angosciosi momenti, una potenza di fuoco tremenda si sta
abbattendo su questo margine di terra: 360 km²; 1.657.155 di abitanti; 4,587
ab./km². Queste sono le misure geofisiche e demografiche della Striscia di Gaza. L’inferno
sulla terra indossa queste dimensioni. Un disastro umanitario ad alta densità abitativa. Qualsiasi bomba che precipita è un
sinistro preavviso di morte per ogni individuo che calpesta questa superficie
insanguinata.
Le bombe non fanno differenziazioni tra miliziani e civili: come
in tutte le guerre la morte che piove dall’alto o che arriva dal mare è un
elemento democratico. E’ amica di tutti e nemica di nessuno. I razzi lanciati
da Hamas posseggono la stessa logica militare delle bombe di Tel Aviv, ma la
sproporzione delle forze in campo è mastodontica.
Dal 1948 in poi Gaza è stata governata
prima dall'Egitto (1948-1967), poi occupata da Israele in seguito alla Guerra dei
sei giorni (1967-1994), è rientrata in mano palestinese sotto la guida
dell'OLP dopo gli accordi di Oslo (1994-2007) e infine, in seguito alle elezioni del 2007, è amministrata da Hamas la quale è subentrata
ad al Fatah. Una lunga storia di cui stiamo vivendo solo l'ennesimo
capitolo. La soluzione "due popoli due stati" non è mai stata così distante
come lo è al momento.
L'attuale governo di Benjamin Netanyahu non ha mai manifestato
concreti segnali di una eventuale trattativa di pace con la controparte
palestinese. Ma quale è ad oggi questa controparte? La moderata Al Fath guidata
da Mahmoud Abbas e radicata nella sola Cisgiordania? Oppure Hamas, la cui organizzazione non riconosce l’esistenza
anche futura dello Stato di Israele? Il nodo della dualità rappresentativa va
sciolto prontamente se si vorrà conseguire una via verso qualche tavolo di
discussione diplomatica.
Israele ha il diritto di proteggere i suoi cittadini
come di esistere secondo quanto stabilito dal diritto internazionale. Ma questo fondamentale assunto non può in ogni caso giustificare le enormi ingiustizie che il popolo palestinese ha subito dal 1948 fino ai giorni nostri. Spesso con la complicità dei paesi arabi. Come non è pensabile slegare quello che sta succedendo in queste ore dal problema politico
dei territori occupati da Israele dal 1967 in poi, inasprito dalla continua
costruzione di nuove colonie in territorio palestinese.
Non bisogna neanche dimenticare le lamiere contorte degli autubus in fumo fatti saltare in aria dalla Jihad grazie agli attacchi suicidi dei suoi martiri. In quei casi sono stati innocenti israeliani a morire e quell'orrore si è profondamente radicato nella memoria collettiva di questo popolo.
In base gli
accordi di Oslo, Israele mantiene su Gaza il controllo dello spazio aereo, le acque
territoriali, l'accesso off-shore marittimo, l'anagrafe della popolazione,
l'ingresso degli stranieri, le importazioni e le esportazioni, nonché il
sistema fiscale. Dopo l'operazione Piombo Fuso del 2008 la morsa della sindrome
da check point si è propagata, peggiorando in maniera drammatica le condizioni
di vita degli abitanti della Striscia. Lo scenario attuale sopra ritratto è reso ancora più complicato dalle
seguenti variabili:
1) La primavera araba ha predisposto una grande trasformazione
degli equilibri geopolitici mediorientali. In Egitto è ascesa al potere l'ala
moderata dei Fratelli Musulmani - di cui Hamas è una diramazione - i quali fino
ad ora non sembrano voler comunque rinunciare al trattato d pace che li lega ad
Israele;
2) L'Iran, finanziatore di Hezbollah e Hamas, è percepito da
Israele non solo come una minaccia continentale ma anche confinate per via
dell'appoggio militare di Teheran alle citate organizzazioni;
3) A gennaio gli israeliani dovranno recarsi alle urne con un sistema politico proporzionale puro che potrebbe produrre una instabilità coalizionale immersa in
un clima geopolitico che si preannuncia caldo;
4) La Turchia, divenuta ormai una potenza regionale, non è
più un alleato su cui Tel Aviv può contare con certezza e non sono certo una
novità i rapporti alquanto freddi tra Obama e Netanyahu;
Tutte queste variabili, insieme alla confusione di leadership tra i palestinesi,
possono produrre conseguenze disastrose se Egitto, USA, Lega Araba e Unione
Europea non costringeranno le parti a sedersi al tavolo della trattativa. Non
sarà facile, in questo scenario, condurre il governo israeliano ad una tregua
duratura.
Netanyahu dovrebbe avere l’intelligenza politica di cessare le
operazioni militari per dare la possibilità ad Hamas di fermare il lancio di
missili. Questa soluzione/compromesso potrebbe rappresentare una prima via d’uscita utile per alleviare le sofferenze degli abitanti
della Striscia ed abbozzare una negoziazione per un cessate il fuoco di lungo
periodo.
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