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mercoledì 7 novembre 2012
I risultati delle elezioni
regionali in Sicilia hanno avuto il merito di fare risaltare la decadenza esistenziale
in cui i partiti politici sono immersi. Il dato sull'astensionismo è una spia
che lampeggia di rosso: delimita il campo di tutti quei cittadini che ad oggi
non riescono a scorgere un punto di riferimento politico a cui concedere la
propria fiducia. In Sardegna la condizione è, almeno in potenza, la medesima.
I
maggiori partiti isolani sono rintanati nelle loro comode roccaforti, nell'attesa
sia delle primarie del PD e del PDL sia dell'esito delle elezioni politiche
italiane. Per tanto nessun progetto di governo per l'Isola si scaglia
all'orizzonte. Tutto rimane fermo, tranne che per lo svolazzamento astuto di qualche
piccione viaggiatore in favore di una riforma dello Statuto in senso sovranista.
In questa aridità sahariana, l'unica novità politica di rilievo è la Consulta
Rivoluzionaria.
Questo contenitore, seppur tra mille contraddizioni e
difficoltà, sta lentamente cementando intorno al tema della sovranità un numero
sempre maggiore di categorie sociali ed economiche oltre che i movimenti
indipendentisti. All'interno di questo raccoglitore multiforme è depositato un possibile
modello di programma di governance
per la Sardegna, basato su cinque configurazioni di sovranità: fiscale,
trasporti, energetica, alimentare e ambientale.
Queste rappresentano precise
materie in cui il Parlamento sardo dovrebbe esprimere piena potestà legislativa.
In termini politici questo significa costruire un governo di sovranità con
tutti quei soggetti che hanno come obiettivo: da un lato dotare l'Isola di
reali poteri di autogoverno capaci di traghettarla fuori dalla crisi e dall'altro
creare un sistema politico sardo non più basato sugli equilibri politici di
Roma. Si tratterebbe pertanto di superare l'Autonomia per ridefinire un evoluto
quadro normativo e politico della Sardegna, ovvero innestare un effettivo mutamento
istituzionale.
Alla penta-sovranità aggiungerei anche l'idea di considerare una
nuova soggettività internazionale per la Sardegna, producendo un battaglia responsabile
volta allo scorporo della circoscrizione Sardegna-Sicilia per le elezioni del
Parlamento Europeo. Su questo argomento fino ad oggi si sono visti molti
proclami ma pochi fatti (e qualche imbarazzante angiussiana astensione!).
Chi
ci sta ad un governo di sovranità che come primo punto del suo programma
rimetta in discussione il rapporto strutturale Sardegna-Italia? Quali sono le
forze politiche pronte ad una legislatura costituente che ridefinisca la forma
giuridica dell’Isola? Rispetto a queste non più eludibili questioni, tutti i
partiti presenti in Consiglio regionale non sono pervenuti. La manifestazione organizzata
dalla Consulta reclamava le dimissioni in blocco dell'intero Consiglio. Se
quest'ultima istanza può avere delle venature discutibili, la distanza siderale
delle istituzioni rispetto alle proposte della Consulta lascia presagire che la
Sardegna stia galoppando a perdifiato verso una scenografia di sicula memoria.
Per non parlare poi della quasi totale assenza delle sinistre dalla piazza. Non
basta più dire che l'idea della sovranità è politicamente simpatica solo per
strappare un sorriso alla storia o per prendere qualche voto in più. Bisogna farla
propria in maniera convinta e per quello che significa realmente: tracciare un
sentiero verso l'indipendenza. Catalunya, Scozia e Paesi Baschi stanno
iniziando a camminare con le proprie gambe grazie a dei governi di stampo nazionalista,
sovranista e indipendentista. Infatti, nella ridefinizione dell’architettura
istituzionale europea derivata dal post crisi economica, sarà fondamentale
essere pronti ad allacciarsi alla locomotiva della ripresa.
Ma senza reali
poteri decisionali, basti pensare al caso Tirrenia o alla Vertenza Entrate, che
cosa farà la Sardegna da grande? Fino ad ora la storia ci ha insegnato che
siamo stati l’ultimo vagone dell’Italia e che Strasburgo è un luogo in cui ci è
stato vietato il diritto di essere rappresentati senza vincoli mediativi. L’Isola ha bisogno di un mutamento: sovranità e
sviluppo. Istruzione e trasporti efficienti. Fiscalità competitiva per attrarre
investimenti e per valorizzare il consumo dei prodotti locali. Indire un
referendum sulla presenza o meno delle basi militari. Gestire il proprio
fabbisogno energetico. C’è tanto lavoro da fare.
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